Abbiamo incontrato Ada Murolo, scrittrice di origini calabresi, già autrice di una piccola raccolta di racconti “La città straniera”, presenta il suo primo romanzo “Il mare di Palizzi”.
Buongiorno Ada, parliamo del suo romanzo “Il mare di Palizzi”. L’ambientazione della vicenda nel suo paese natale fa pensare ad un forte riferimento autobiografico: ci conferma questa ipotesi? C’è qualcosa di lei nel personaggio di Adela?
E’ un’ipotesi semi-sbagliata, perché i pur evidenti spunti autobiografici sono rivestiti di una materia narrativa che obbligatoriamente va oltre l’autobiografia. Ci troviamo quindi davanti a una narrazione che parte dalla realtà ma alla fine esula dai dati sensibili, diventa quasi mitologia, alla pari con le narrazioni orali. E’ quindi un racconto in cui probabilmente ci si riconosce, ma non è più autobiografico.
Nel romanzo esiste un valore importante: quello della memoria, del ricordo. Quanto è importante per uno scrittore in generale e quanto è importante per lei?
Per uno scrittore penso sia fondamentale, perché è chiaro che un autore non può parlare del futuro, di qualcosa che non conosce. Però non è una memoria di cronaca, ma il ricordo di un essere senziente che attraverso l’esperienza ha accumulato una serie di principi generali. Non è quindi neanche memoria prettamente autobiografica, potremmo definirla memoria individuale dello scrittore e contemporaneamente memoria collettiva di un‘umanità. Il ricordo storico collettivo, secondo me, in questo periodo è fondamentale perché è come consegnare a un futuro abbastanza incerto e nebuloso un passato sì povero, ma non misero.
Si sta riferendo a qualcosa in particolare?
No, il mio romanzo è ambientato in un paese della Calabria degli anni 50, e queste memorie, non eventi in particolare, sono affreschi di questa realtà. C’è anche una trama, però non è fondamentale, come non è fondamentale la biografia dei vari personaggi, che costituisce un filo rosso attraverso i ricordi. E’ un riandare indietro nel tempo, è un recuperare un senso buono della vita.
Si sentirebbe, oltre ai suoi romanzi già scritti, di recuperare altre memorie, anche dal punto di vista collettivo? E’ importante ricordare e recuperare certi momenti della nostra memoria collettiva?
E’ importantissimo. Non si può andare avanti senza mai voltarsi indietro. Secondo me è fondamentale questo legame col passato e con la storia, fa parte di un percorso obbligatorio.
Passando dal tempo ai luoghi, l’archetipo della propria terra secondo lei quanto ha giocato nel suo romanzo e quanto gioca nei romanzi in generale?
Gioca tutte le sue carte: in generale, nel mio caso e penso nel caso di tutti. La propria terra è legata ad un preciso periodo della vita che è quello dell’infanzia, in cui il bambino apre lo sguardo a un mondo, a una realtà che lo forma. Tutte le sue funzioni nascono da questo rapporto che ha il bambino nell’infanzia con il mondo che lo accoglie: la terra, la madre. E se questo rapporto viene incrinato in qualche modo, allora l’individuo è segnato.
Secondo lei sono ferite sanabili quelle del rapporto con la propria terra e i propri luoghi?
Forse sono sanabili attraverso il recupero memoriale, che non è proprio memoria e racconto, ma il ritrovare certi valori dimenticati, da recuperare durante il percorso di “guarigione”.
Qual è il punto di forza di questo suo romanzo?
Questo romanzo è nato come una realtà che mi è venuta incontro insieme al linguaggio stesso. Nel momento in cui un autore, o anche un uomo qualsiasi, incontra con lo sguardo la realtà, in quello stesso momento si imbatte nel linguaggio, e in quel momento il linguaggio diventa storia. E’ una storia in cui non campeggiano certi protagonisti in particolare, ma è presente una miriade di personaggi che esprimono “il brusio della vita” e creano una polifonia.
Quali sono gli autori dai quali ha tratto ispirazione?
La mia formazione è abbastanza classica, quindi amo i classici antichi, greci e romani, ma soprattutto mi piacciono i classici della letteratura più famosa, abbastanza scontata, da Leopardi in poi. Oggi gli autori che mi piacciono di più sono Bruno Schulz, Anna Maria Ortese, Landolfi.
Come insegnante può indicarci una sorta di percorso letterario da seguire, i libri che non possono mancare nella libreria de Gli Amanti dei Libri?
La mia risposta è banalissima: non possiamo prescindere da Dante e Boccaccio. I giovani sono difficili, hanno una sorta di resistenza verso i classici. Non saprei come invogliarli, magari potremmo partire a ritroso, con i grandi classici del Novecento. Siccome sono un’amante della letteratura giuliana, e ho tormentato i miei alunni con la letteratura giuliana, partirei quantomeno da Svevo.
Quindi ci indica un punto di partenza?
Un punto di partenza che certo non racconta tutto. E’ una cultura un po’ più spostata rispetto alla nostra cultura classica, più mitteleuropea.
Può lasciare un messaggio per i lettori della nostra testata?
Ognuno deve leggere il libro nel quale si riconosce di più, a costo di chiuderlo e cambiarlo. Non si deve seguire un percorso obbligato, ufficiale, necessario. Se no non ha senso: uno può imparare una marea di nozioni, ma non interiorizza niente. Deve trovare in sé quello che preferisce.