A che serve avere la mani pulite se si tengono in tasca – Don Lorenzo Milani

Titolo: A che serve avere la mani pulite se si tengono in tasca
Autore: Milani Don Lorenzo
Data di pubbl.: 2011
Casa Editrice: Chiarelettere Editore
Genere: Saggi
Pagine: 89
Prezzo: 7

E’ incredibile la forza che alcuni libri possiedono. Quando ho avuto tra le mani, ed è successo quasi per caso, questo instant book – nuova collana di Chiarelettere-  e ho iniziato a leggerne le prime pagine, è stato impossibile non rimanere colpita dal suo magnetismo.  A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca,  è un libro breve, da leggere tutto d’un fiato o da assaporare poco alla volta, che racchiude tutta l’intensità di un grande  personaggio della storia e della cultura, ma anche e soprattutto di un grande uomo del passato. Stiamo parlando di Don Lorenzo Milani che, insieme ad un ristretto gruppo di sacerdoti definiti “scomodi” dalla Chiesa, come Don Primo Mazzolari e Padre Ernesto Balducci, fu tra coloro che promosse nella prima metà del Novecento quella che può essere definita la teologia sociale, la lotta per una Chiesa libera e di tutti.

In particolare in A che serve avere le mani pulite se si tengono in tasca, titolo emblematico che riprende un’espressione usata da Don Lorenzo Milani stesso, vengono raccolti gli scritti relativi alla vicenda che dal 1965 vide coinvolto il sacerdote in un processo per apologia di reato, per aver difeso l’obiezione di coscienza alla coscrizione militare. In apertura viene proposta la famosa lettera ai giudici, conosciuta anche come “L’obbedienza non è più una verità”. Segue la lettera con cui il priore di Barbiana replicò a un documento dei cappellani militari in cui si definiva l’obiezione di coscienza “un insulto alla patria, estraneo al comandamento cristiano dell’amore ed espressione di viltà”. Fu proprio questa epistola a dare origine alla denuncia che portò Don Milani a processo. Per aver difeso gli obiettori di coscienza, dopo un’assoluzione in primo grado, il priore di Barbiana venne condannato in appello, ma il reato – recita la sentenza postuma – fu “estinto per la morte del reo”.

Don Lorenzo Milani, ammalato di un male incurabile e quindi impossibilitato ad essere presente al processo, scelse di non nominare alcun avvocato e di scrivere direttamente la sua difesa in una lettera aperta.

Egli accettò di essere rappresentato da un avvocato d’ufficio solo perché convinto dal legale stesso che essere avvocato d’ufficio significava essere avvocato dei poveri e dare a ogni cittadino pari difesa e pari dignità di fronte al Tribunale. Insieme ai ragazzi della scuola di Barbiana, la piccola comunità dove il sacerdote aveva iniziato uno straordinario esperimento pedagogico di istruzione popolare, senza l’aiuto di un giurista, ma armato di  onestà, coraggio e determinazione  e con l’aiuto del solo Codice Penale, Don Lorenzo Milani confezionò l’epistola, parlando ai giudici a cuore aperto “come un cittadino e un maestro che crede con la sua scuola e con la sua lettera di aver reso un servizio alla società civile, non di aver compiuto un reato” .

Come servitore della società civile appunto e con grande rispetto dello Stato,  egli lottò anche per la difesa del diritto all’acqua pubblica, per l’istruzione delle classi sociali svantaggiate, per la demolizione dell’intellettualismo (il libro riporta i suoi scritti sull’argomento) e diede un continuo monito all’impegno ed alla responsabilità personale contro l’indifferenza e l’inerzia.

Con un linguaggio semplice e diretto, Don Lorenzo Milani cercò di divulgare la cultura, il sapere, ed il saper fare, non limitandosi a  diffondere solo precetti religiosi. Non a caso, I care era il suo motto.

Fra le sue molte parole, ormai entrate nella storia, vorrei riportare quelle più intime, meno conosciute, ma che meglio ci esprimono la sua profonda e complessa umanità. Lucidità, sagacia, coraggio e determinazione furono sicuramente i presupposti fondamentali perché l’uomo Don Lorenzo Milani divenisse l’eccezionale educatore e  il vero “guerrigliero” dell’equità che noi oggi conosciamo. Le sue sono parole del passato, ma parlano al futuro ed alla contemporaneità.

Ecco dunque uno stralcio della corrispondenza fra il sacerdote e il legale d’ufficio che lo rappresentò al processo e con il quale si instaurò un legame profondo.

“Caro avvocato,

dopo un mese in cui ho rinunciato a rispondere alla posta perché era troppa e perché non stavo bene ora sono finito all’ospedale. Sono qui perché ho cambiata malattia. Contro ogni regola scientifica sono passato dal linfogranuloma alla leucemia mieloide. Due malattie altrettanto inguaribili ma l’una e l’altra dotate dell’unica qualità che mi sta a cuore cioè di non richiedere operazioni. Perché io sono un profeta ed un eroe, ma fino alle estrazioni dentarie escluse. […] Ho l’impressione di aver elencato argomenti sufficienti non dico all’eliminazione degli eserciti, ma anche dei vigili urbani. Piuttosto mi piacerebbe dire una parola in più, ma non ai giudici, piuttosto ai maestri, ai genitori e ai ragazzi.

 

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