
Autore: Maurizio De Giovanni
Data di pubbl.: 2019
Casa Editrice: nero rizzoli, Rizzoli
Genere: nero
Pagine: 348
Prezzo: 19,00
È tornata in libreria Sara Morozzi, la protagonista silenziosa e affascinante, all’apparenza rigida ma scrutatrice dell’animo umano. Maurizio de Giovanni ci ha parlato del suo nuovo libro: “Le Parole di Sara”, che ha il profumo di sequel, quello che crea dipendenza nelle serie TV e nelle storie d’amore, ma la stessa passione e intensità di un primo titolo.
Intelligente, ironico, sfizioso. Un’avventura che sa di esordio per sfrontatezza e di ennesimo per esperienza.
Dopo “Sara che aspetta” e “Sara al tramonto”, la “mora” torna con una nuova missione, stessi compagni, e inaspettate, ricoperte, emozioni da condividere.
Questo nuovo capitolo è dedicato alle donne e all’amore, ma sia chiaro, non intesi come comunemente siamo abituati.
M: Innanzi tutto desidero precisare che sono grato a Rizzoli per aver creato una collana dedicata al nero, perché non c’è dedizione più profonda di un lettore di genere nei confronti di un autore di genere. In Italia, in particolare, il Romanzo Nero è un movimento. Ancora non ce ne siamo accorti al 100%: c’è molta distanza nei confronti di un genere così immediato, forte, fertile, fecondo, vivo (!) della letteratura contemporanea italiana.
Il pubblico del Romanzo Nero è quello che legge in piedi nelle metropolitane, quello che legge al parco mentre culla il bambino con l’altra mano; è quello che legge invece di guardare la televisione.
Il Romanzo Nero Italiano è il grande modo di raccontare questo Paese per strada. “Le Parole di Sara” ha un elemento di novità assoluto: è il mio primo libro manifestatamente politico. È una storia, all’interno della quale, con fredda certezza, c’è ben netta e chiara la situazione attuale italiana. Non ho imbellito, non ho imbruttito, non ho fatto trasparire il mio pensiero, ma ho raccontato una storia: una storia colpisce, molto più di qualsiasi dibattito, perché rimane, è fatta di persone, sangue e sentimenti.
Hai scelto di parlare di politica, in un modo e attraverso affermazioni che, quasi, non siamo più abituati a leggere nemmeno sui giornali.
Io qui ho raccontato la storia di Sara, sospesa tra passato e presente. Sara è una donna che ha lavorato per 30 anni in un servizio interpretativo ma non operativo, analizzando e decifrando quindi discorsi, labiali, gesti, comportamenti… cosa che oggi non è più indispensabile, grazie ai software che permettono di fare tutto più velocemente. Ma i linguaggi e i modi di pensare sono sempre gli stessi, come la storia, tutto è un ciclo, ma non tutti hanno chiara questa cosa. Sara è l’unica ad essere consapevole di questo, ed è proprio questa la chiave interpretativa di tutto il libro e, più in generale, delle sue avventure: utilizza gli spunti del suo passato per risolvere gli enigmi del presente. È un personaggio più facilmente localizzabile a New York, che a Napoli, data la sua invisibilità in mezzo ad infiniti altri volti, ma è esattamente questo che la rende perfetta nel suo personaggio: sembra insignificante ma è l’animale più feroce della giungla. Non è né una criminale, né un poliziotto: è un elemento intermedio, dato anche dal lavoro che ha fatto per trent’anni.
In questo libro ci sono svariati personaggi femminili rilevanti, due dei quali fondamentali: Sara e Teresa, quanto hai tratto da Teresa per rivelare di Sara e viceversa?
Sara e Teresa sono amiche da una vita – professionalmente parlano. Sono complementari, come solo l’amicizia tra donne sa esserlo. Hanno condiviso tutto: Sara nella silenziosa interpretazione, Teresa nell’effervescenza del trarre conclusioni. Quindi si completavano. Quando hanno smesso di lavorare insieme si sono allontanate, per ritrovarsi poi di fronte ad un elemento che Massimiliano (il compagno di Sara mancato qualche anno prima, ndr) aveva previsto già molto tempo addietro: l’amore. Massimiliano in alcune lettere aveva avvertito Sara, che tutto questo sarebbe successo, perché l’amore è in grado di disarmare chiunque. E Teresa, nel momento in cui si trova in una situazione di fragilità, come una lupa che rimane sola senza il suo branco, chiama Sara – perché ne ha bisogno per sentirsi completata. Se mi chiedessero di cosa parla questo libro, direi: di amicizia. Di una grande amicizia tra donne.
Accennando all’aspetto politico che introduci son questo tuo ultimo libro, dici che non credi sia giusto avere un microfono e sfruttare l’occasione di usarlo, per dare risonanza e denunciare certe situazioni. Perché hai scelto proprio Sara, tra tutti i personaggi dei tuoi libri, come microfono per denunciare questa situazione politica? Non è netto in questo caso il contrasto tra personaggio “donna invisibile” e visibilità che dona alla vicenda?
Sara è l’unico personaggio che potessi usare per questo ruolo. I “Bastardi” e Ricciardi sono investigatori: Ricciardi viveva in un’altra epoca, mentre i “Bastardi” sono un piccolo commissariato di città, e al di là di un certo tipo di indagine non possono andare. Sara invece non ha limiti: è una scheggia, non ha nessun obbligo di confronto, nessuno a cui riferire. Inoltre Sara scopre una situazione che non può rilevare, ed è per questo che alla fine svolge la sentenza, perché non può denunciare! Questa volta, invece di raccontare di una storia di sentimenti e sangue e di un amore andato male, ho preferito raccontare di un freddo interesse.
È arrivata prima la voglia di riscrivere di Sara o la storia, che poi è stata adattata al personaggio?
In realtà ho una quantità infinita di storie di Sara…
Quindi è già un annuncio che ci anticipa che leggeremo di nuovo le avventure di Sara?
Se il mio editore gradirà, sì! Sara è livida, come lo sono queste città: è un’infinità di storie. Lei mi consente di raccontare la realtà del centro di Amburgo, ambientandola a Napoli. E come posso perdere un personaggio del genere?
Abbiamo ritrovato Sara minimamente cambiata in meglio, leggermente migliorata psicologicamente. Effettivamente il libro precedente (“Sara al Tramonto”) terminava con la nascita del nipotino, può essere proprio questo accenno di famiglia che la porta ad essere un poco (ma poco, poco) più umana nei sentimenti?
In Sara cambia l’interesse nei confronti del futuro. Prima non aveva alcun interesse nei confronti del futuro. Aveva soltanto l’interesse nei confronti della giustizia. Ne “Le parole di Sara” si sente responsabile del futuro: si pone il problema che il 2040 sia migliore del 2019. E il nipotino è l’escamotage perfetto per rendere questo.
Sara, donna invisibile per eccellenza, che non si trucca, non si veste bene e non si sistema in nessuna situazione per rimanere sempre coerente e non fingere mai, nasconde però i suoi sentimenti e le emozioni: non è questa una forma di finzione? Una contraddizione al suo modo di vivere?
Sara nasconde le emozioni, nel senso che non avrebbe senso manifestarle. Non le esprime perché secondo lei non ve ne è necessità. In realtà, però, prova delle emozioni e anche forti: prova un pianto interno incessante, una sofferenza eterna, che è proprio la tinta madre narrativa del personaggio.
Come sei arrivato a raccontare Napoli in una maniera così lontana rispetto agli altri tuoi romanzi? È una città fredda, grigia, anonima, scostante. Per niente simile a come siamo abituata a leggerla e conoscerla.
Napoli con Sara esprime la migliore interpretazione di se stessa: è un’attrice, un personaggio. E come tale, interpreta il ruolo dolente e dignitoso, disperato, con Ricciardi; con i “Bastardi” (“di Pizzofalcone”, ndr) è rumorosa, policroma, polifona, invadente e anche pericolosa. Con Sara è fredda, distante, borghese e ostile. Si difende. In realtà Napoli è come la Magnani, la puoi utilizzare per interpretare diversi ruoli, da grande attrice. A differenza di Bologna, che è educata! Fa da scenario, da sfondo…
Napoli in questa serie interpreta questo ruolo e nella sua ostilità, mi dà così tante soddisfazioni. Se tu vai nel Vomero, nel quartiere di Sara in questo libro, ti ritrovi proprio in questa sensazione.
Hai mai pensato di farci conoscere Sara per come era nel passato? Quindi parlare di lei prima?
Ambientare una storia nel passato con Sara, sarebbe perdere un’opportunità. Mi piacerebbe, per esempio, parlare di fatti e argomenti di qualche anno fa, del passato, ma io con lei ho un compito: raccontare un presente che non vediamo. Quindi usare il suo passato, sì, ma per interpretare il presente. Altrimenti perderemmo un’opportunità.
Teresa, donna Alfa che tanto abbiamo amato, portatrice di valori per le donne forti e libere, convinte della propria autonomia, alla fine commette un errore: come mai? È come se avessi voluto punirla.
Il romanzo nero racconta l’imperfezione, i buchi, le feritoie, le crepe. I personaggi sono tanto più riusciti, quanto meno perfetti. La donna alfa che rimane tale dall’inizio alla fine è un brutto libro, il buono e il cattivo, p un brutto libro. I miei personaggi devono essere sbagliati, altrimenti non sono libri. Teresa, in realtà, è fragile, come è giusto che sia: la necessità di una gratificazione il suo tallone d’aAhille. Infatti Sara capisce che il suo dolore sta nell’essersi innamorata, non nell’essersi fatta fregare a livello professionale.